Il Pantheon
Grandioso monumento dell’epoca augustea giunto fino a noi quasi intatto, dai lontani anni 25-27 a.C. quando fu costruito.
Fu fatto edificare da Marco Vipsanio Agrippa, amico e genero dell’Imperatore Augusto, ma soprattutto comandante della flotta che ad Azio gli regalò la vittoria su Marco Antonio. Come recita la scritta sul frontespizio del tempio, lo edificò a sue spese e su terreno di sua proprietà nel suo terzo e ultimo mandato da console :
“M. AGRIPPA L. F. COS TERTIUM FECIT” (ovvero “Marcus Agrippa Luci filius consul tertium fecit” da tradurre in “Lo costruì Marco Agrippa, figlio di Lucio, nell’anno del suo terzo consolato”).
Il grande pronao esterno di otto colonne del frontespizio, e le altre otto divise sui due lati, con capitelli corinzi, la magnifica planimetria a pianta circolare, la maestosa cupola rendono il Pantheon un insieme armonioso di sapienza costruttiva, fonte di ispirazione nei secoli, il più significativo monumento pervenutoci dall’architettura romana.
Il Tempio, secondo la prima impostazione di Agrippa, avrebbe dovuto essere un luogo destinato al culto dinastico della Gens Julia e dei suoi protettori, Marte e Venere, con una statua al centro di Ottaviano Augusto. L’imperatore però si oppose e Agrippa pose all’interno dell’edificio una statua del Divo Giulio ( Cesare divinizzato e padre adottivo di Augusto) e nello spazio del pronao la statua di Ottaviano insieme a quella di sé stesso, a celebrare la loro amicizia e il loro impegno per il bene pubblico.
Anche la dedica del tempio cambiò destinatario e Agrippa lo dedicò alle sette divinità planetarie (da cui deriverebbe il nome Pantheon che in greco significa “di tutti gli Dei”), ossia Sole, Luna, Venere, Saturno, Giove, Mercurio, Marte, e per renderlo simile alla volta celeste, vi fu aperto il grande oculo sulla cupola.
Il tempio si collocava all’interno della monumentalizzazione del Campo Marzio, dove già sorgevano altri templi e grandi fabbricati, Minerva Medica, Nettuno, Iside e Osiride, Saepta Julia.
Adiacente al Campo Marzio, Agrippa possedeva dei terreni e su di essi oltre al Pantheon fece costruire anche le Terme, alimentate dall’acquedotto dell’Acqua Vergine da lui stesso realizzato a beneficio di tutta la città.
Danneggiato da un incendio, il Pantheon fu fatto restaurare da Domiziano e successivamente rifatto da Adriano nel 125 d.C.. Fu poi restaurato nuovamente da Settimio Severo e suo figlio Caracalla, come attesta una piccola iscrizione sotto quella di Agrippa.
Chiuso come tempio pagano dai primi imperatori cristiani, fu saccheggiato dai barbari. Con la donazione a Papa Bonifacio IV da parte dell’imperatore romano d’oriente Foca nel 608 d.C., il maestoso tempio si salvò dalla distruzione con la consacrazione alla Madonna e a tutti i Martiri (S. Maria ad Martyres).
Il monumento, quando ancora non privato del suo bronzo luccicante e delle meravigliose statue, fu considerato nel Medioevo, come una Mirabilia Urbis e uno dei simboli della città.
L’esterno del Tempio colpisce ancora per la sua semplicità, mentre l’interno è mirabile per l’armonia delle proporzioni e la grandiosità del complesso: le nicchie laterali, alternate rettangolari e semicircolari, l’elegante trabeazione che corre tutt’intorno su cui si eleva un alto attico con riquadri e finestre cieche, sull’antica ripartizione di lesene e finestre architravate e, al di sopra di tutto, la colossale volta a cinque ordini di cassettoni digradanti fino al grande occhio centrale di 9 metri di diametro aperto sul cielo e ancora orlato di bronzo, unica fonte di luce a rischiarare la grandiosa cella.
Sulle nicchie laterali le tombe di due Re d’Italia, Vittorio Emanuele II e il figlio Umberto I con sua moglie Margherita, con cappelle in cui sono collocati pregevolissimi gruppi scultorei e affreschi.
E ancora la tomba di Raffaello Sanzio sul cui sarcofago di marmo greco è incisa la frase dedicatagli dal suo grande amico fiorentino Pietro Bembo “Ille hic est Raphael timuit quo sospite vinci, rerum magna parens et moriente mori” (Qui giace Raffaello, da lui, quando visse, la natura temette d’essere vinta, ora che egli è morto, teme di morire). Nella nicchia del sepolcro la statua della Madonna del Sasso, commissionata da lui stesso nel 1520 a Lorenzetto, al secolo Lorenzo Lotti, suo allievo prediletto.