Il Colosseo
Raccontare del Colosseo significa ripercorrere la storia stessa di Roma. affascinati e incuranti delle emozioni e sensazioni della sua grandezza.
L’anfiteatro Flavio, Amphitheatrum Flavium, è chiamato comunemente Colosseo fin dall’Alto Medioevo, qualcuno dice per le sue dimensioni colossali, altri perché alle pendici della Velia, piccola sommità tra l’Esquilino e il Celio all’inizio della Domus Aurea, era posto il Colosso, immensa statua in bronzo dorato fatta realizzare da Nerone dopo l’incendio di Roma e rappresentante l’imperatore stesso con la testa cinta da raggi nelle sembianze del sole. Oggi alcune lastre di travertino inserite nel piano stradale all’inizio della via dei Fori Imperiali indicano il luogo dove sorgeva la statua. Altra interpretazione dell’origine del nome è stata ipotizzata come declinazione del nome Collisseum ossia il colle di Iside dove effettivamente sorgeva il Tempio dedicato alla divinità.
Qualunque sia l’origine del nome, il Colosseo è da sempre simbolo di grandiosità per l’austerità della sua struttura e la purezza delle sue forme. Costruito talmente bene che, anche senza più la presenza dei rinforzi di ferro che li tenevano insieme, i blocchi di travertino sono ancora in piedi a testimoniarne la grandezza.
L’anfiteatro Flavio, concepito come il più grande dell’Impero, fu iniziato da Vespasiano nel 72 d.C. e terminato da suo figlio Tito (entrambi della famiglia dei Flavii) nello stagnum della Domus Aurea.
Simbolo della rinascita dell’Impero e dell’onore della famiglia Flavia era un edificio maestoso in grado di contenere un numero di spettatori stimato tra 50.000 e 75.000 unità.
Ha una forma ellittica con l’asse maggiore di 188 metri e l’asse minore di 156 e una circonferenza complessiva di 527. Lungo l’enorme perimetro si innalza la grandiosa architettura esterna di travertino, costituita da tre piani sovrapposti di arcate su pilastri su cui sono addossate le colonne dei tre ordini dorico, ionico e corinzio.
L’arena, che misura lungo gli assi circa 77 metri per 46, era formata da un tavolato di legno ricoperto di sabbia. Per accedervi esistevano due ingressi: ad ovest la “Porta Triumphalis”, dalla quale entravano i gladiatori o gli animali, e ad est la “Porta Libitinensis”, dalla quale venivano portati via i corpi senza vita dei lottatori (da Labitinia Dea della morte).
L’edifico si chiude con un quarto ordine di sopraelevazione di diversa composizione con cornicioni finali destinati a sorreggere il velario. Il velario era la copertura degli Anfiteatri, proteggeva dal sole e dalla pioggia, era manovrato dai marinai allo stesso modo di come venivano manovrate le vele delle navi. Il travertino è la pietra fondamentale nella realizzazione del monumento, è stato calcolato che ne furono impiegati più di 100.000 metri cubi, oltre ai marmi e ai perni in ferro di collegamento tra i blocchi, circa trentamila tonnellate di ferro.
Fu inaugurato con grandi feste che si racconta fossero durate 100 giorni con l’uccisione di 5.000 belve feroci e la morte di molti gladiatori.
Vi si tenevano le venationes e naumachie iscritte sui gradus, una sorta di registri registri (oggi si direbbe in cartellone), usanza molto antica, che arrivò fino al periodo dell’occupazione barbarica di Odoacre. I registri venivano periodicamente aggiornati e gli eventi cancellati o sostituiti, con i nomi dei nuovi richiedenti (anche a seconda del diverso grado tra clarissimi, spectabilis e illustres). I combattimenti di gladiatori vi si tennero fino al 404 quando furono soppressi dal Papa Onorio, forse dopo il sacrificio del monaco Telemaco che si era arditamente introdotto nell’arena per fermare il combattimento e fu ucciso. Fino alla metà del VI secolo continuarono invece i combattimenti tra le belve.
Intorno al Colosseo sono fiorite nel Medioevo numerose leggende, tra cui quella del venerabile Beda. Monaco benedettino inglese, autore di molte opere, vissuto tra il 673 e il 735, citato nella Divina Commedia, al canto X del Paradiso nell’ordine del creato e apparizione di San Tommaso d’Aquino che presenta gli spiriti sapienti, il quale disse “ finchè starà il Colosseo starà Roma, quando cadrà il Colosseo finirà anche Roma, ma quando cadrà Roma finirà anche il mondo.” ” Quamdiu stabit Colyseus stabit et Roma, cum cadet Colyseus cadet et Roma, cum cadet Roma cadet et mundus “.
Un terremoto nel 442 lesionò l’Anfiteatro che fu restaurato, come accadde anche in altre occasioni di danneggiamento, attestate da esistenti iscrizioni. Ma un altro terremoto nel 1349 provocò il collasso dell’esterno dal lato sud, costruito su un terreno alluvionale instabile, e non fu più ricostruito restando come oggi lo vediamo.
Diventò una fortezza sotto i Frangipane al cui interno costruirono la loro dimora (fortunatamente abbattuta) e poi passò agli Annibaldi. Fu Enrico VII, Imperatore del Sacro Romano Impero, a donarlo al Senato e al popolo romano nel 1312.
Durante il Rinascimento, il monumento fu gravemente depredato, rappresentò una cava per la costruzione di Palazzo Venezia, Palazzo Barberini e della Cancelleria, il Porto di Ripetta e la stessa Basilica di San Pietro in Vaticano.
Solo con il pontificato di Benedetto XIV (1740-1758) lo scempio terminò, con la consacrazione del Colosseo alla Passione di Cristo. Il papa lo dichiarò sacro per tutto il sangue versato dai martiri cristiani, anche se non è stato mai provato storicamente che nel Colosseo furono eseguite persecuzioni contro i cristiani.
Nel giro dell’arena furono costruite 14 edicole per le corrispondenti stazioni della via crucis, poi rimosse nei secoli successivi quando il percorso venne modificato, pur restando nell’ambito dell’area del Colosseo e utilizzando gli spazi adiacenti come stazioni in cui ricordare e rappresentare ai fedeli la Passione.