Elisabeth Vigée Le Brun (1755-1842)

Una pittrice alla corte di Maria Antonietta che bramava visitare questa meravigliosa patria delle arti, l’Italia.

Elisabeth Louise Vigée Le BrunElisabeh Louise Vigèe Pittrice francese, tra le più grandi del suo tempo, era nata a Parigi il 10 aprile del 1755 e mori a Louveciennes il 30 marzo 1842 all’età di 86 anni. Fino alla fine continuò a lavorare con grande successo, lasciandoci nei Musei di tutto il mondo circa 650 ritratti e 200 dipinti di paesaggi.

Il grande successo di Elisabeth inizia alla corte di Francia dove diventa la pittrice ufficiale di Maria Antonietta, e in tale ruolo subisce l’evento chiave del Settecento, la Rivoluzione francese, destinata a cambiare per sempre il volto dell’Europa, con tutto quello che ne consegue, e facendo di lei un’esule.

Fama e successo segnarono gli anni alla Corte di Francia dove realizzò monumentali ritratti di Maria Antonietta e quelli di numerose dame di corte, diventa membro dell’Accademia Reale di Pittura e Scultura, si sposa con il pittore e mercante Jean Baptiste –Pierre Le Brun, da cui nasce la sua unica figlia Jeanne Julie Louise.

A tumulti iniziati nel 1789, Elisabeth temendo per la sua sicurezza personale, lascia Parigi in fretta e furia, fugge in Italia con la figlia e la governante con una carrozza di posta per non essere riconosciuta e fermata, attraversa la frontiera a Lione. Poco tempo dopo venne a sapere che tutti i suoi beni in Francia erano stati confiscati e i suoi diritti civili revocati. Suo marito non era stato in grado di aiutarla, e poco dopo divorziò per salvare la sua proprietà.

Solo dopo dodici anni Elisabeth Louise potrà tornare in Francia e continuare il suo lavoro di artista. Nel lungo periodo di forzata assenza dalla Francia, Elisabeth iniziò un forzato Gran Tour che la vide continuare la sua attività pittorica negli ambienti reali di mezza Europa in Italia (Firenze, Roma, Napoli), a Vienna, a Londra, a San Pietroburgo.

Dipingeva per lo più volti di nobiluomini e soprattutto di nobildonne, che come ebbe a dire la penna satirica di Giuseppe Parini nel “Giorno” erano convinti di appartenere a una “celeste prole” o a un “concilio di semidei”, impermeabili alla caducità della Storia. Tra essi Maria Cristina di Borbone, la contessa Teodochi Albrizzi (di foscoliana memoria), il gotha dell’aristocrazia polacca e russa, ritratti di memorabili fattezze quali quelli dell’inglese Lady Hamilton, amante dell’Ammiraglio Nelson di stanza a Napoli, in veste della Sibilla Cumana come il ritratto di Raffaello o di Baccante con lo sfondo del Vesuvio.

Nella sua lunga carriera di ritrattista, Elisabeth rende omaggio ai venerati maestri italiani del Rinascimento, che si ritrovano in tante sue opere. Nel dipinto monumentale di Maria Antonietta con i figli, nell’impostazione piramidale si ispira alle iconogafie delle Madonne con bambino, come nella Sibilla Cumana del Domenichino, simbolo per eccellenza dell’ispirazione femminile.
Nei suoi “Souvenirs” apparsi sulla scena letteraria europea nel 1835, Elisabeth descrive la sua precipitosa fuga da Parigi, la sua prostrazione di doversi allontanare dalla propria terra, lasciare la propria casa, i suoi affetti, sensazioni e ricordi ad essa intimamente connessi.

Pur nella sua condizione di esule Elisabeth, entrata in Italia passa da una città all’altra con l’intento di acquisire la conoscenza diretta dell’arte antica pittorica e scultorea, finalità che trasforma l’esilio italiano in un vero e proprio Gran Tour di formazione e ispirazione come scrive lei stessa al pittore Hubert Robert, di cu aveva ammirato i ritratti paesaggistici dei luoghi più belli d’Italia, ricordando “quanto io bramassi visitare a mia volta questa meravigliosa patria della arti” Scrive nel suo diario che “solo il piacere di vivere a Roma, può consolarmi almeno in parte del dolore di aver lasciato il mio paese, la famiglia, i tanti amici e colleghi ai quali ero affezionata. Il fascino dei bei luoghi già vivificante per chiunque lo è a tal punto per un’artista e tale da addolcire i momenti più amari della vita”. La pittura quindi, come ancora di salvezza in senso esistenziale oltre che materiale. La sua grande abilità come ritrattista e con essa la superiorità dell’arte sulle avversità della vita.

Nella Città Eterna, Elisabeth viene ospitata dal direttore dell’Accademia di Francia, Francois Guillaume Menageot suo amico parigino e pittore egli stesso, prolungando così la sosta romana che diventa un protrarsi per diversi mesi con visite ai monumenti antichi, alle ville e ai territori limitrofi mete consuete dei viaggiatori del Gran Tour, Frascati, Ariccia, Nemi, Albano, Genzano Tivoli in cui si percepiva l’eco dei tanti artisti che vi avevano posato lo sguardo e lasciato traccia con descrizioni o dipinti. A Tivoli dopo aver ammirato le cascatelle e la grotta di Nettuno, Elisabeth racconta di essersi addormentata sul basamento delle colonne del Tempio della Sibilla, dove tempo dopo Madame de Stael avrebbe ubicato la casa di Corinne.

Roma la affascina e la entusiasma con le serate musicali, le feste di carnevale, le popolane indolenti, e soprattutto quella mescolanza tra sacro e profano in cui le rovine di un tempo lontano accrescono la magnificenza delle cerimonie religiose trasmettendo loro il fasto e il respiro dell’antica Roma. Nella visita ai Musei Vaticani, Elisabeth si sofferma sui capolavori di Raffaello, ne studia l’ampio respiro delle composizioni e ne insegue l’estro fino nei minimi particolari.

Il Gran Tour di Elisabeth proseguirà verso Napoli e poi ancora nel Nord, Venezia, verona, Milano, Torino fino al suo trasferimento a Vienna e al definitivo rientro in Francia.