Mary Shelley (1797-1851)
Mary Shelley è nata ed è vissuta nel sangue, e se è possibile usare una metafora squisitamente romantica, ha scritto con il sangue.
Siamo nel Rione Testaccio, a Roma, la Piramide Cestia spicca bianca e con la sue geometrie perfette nel traffico tra via Ostiense e via Marmorata.
Costeggiando il muro che la ingloba, si arriva invece in uno dei luoghi più romantici della città, il Cimitero Acattolico. Qui tra resti archeologici, cipressi, turisti e un piccolo esercito di gatti, sono sepolti tanti stranieri che hanno amato la città eterna, insieme a importanti personalità italiane: tra gli altri Antonio Gramsci, Carlo Emilio Gadda e il poeta inglese John Keats. Poi c’è una lapide bianca su cui risaltano due parole: “Cor cordium”, che significa “Cuore dei cuori”. Parole dedicate da una donna al suo uomo, il grande amore della sua vita, sepolto in quel luogo lontano dalla terra di entrambi. L’uomo era Percy Bysshe Shelley, uno dei più importanti poeti inglesi romantici, la donna, sua moglie, si chiamava Mary Shelley e scrisse a soli 19 anni il romanzo gotico che le diede fama eterna, Frankenstein.
Mary Shelley nasce a Londra il 30 agosto 1797 da William Godwin, un filosofo illuminista, e da Mary Wollstonecraft, una delle prime esponenti del movimento femminista. La madre muore pochi giorni dopo la nascita della bambina ma continua a influenzarne la vita con le sue teorie sull’emancipazione delle donne. Quando Mary ha solo tre anni, il padre si risposa, dando alla bambina due sorellastre con le quali stringe un legame molte forte, in particolare con Claire.
Cresce in una casa piena di principi libertari e stimoli culturali, frequentata dai migliori intellettuali dell’epoca. È tra loro che incontra l’amore della sua vita, il poeta Percy Bysshe Shelley. Il padre però disapprova questa unione perché Percy è già sposato con figli. Gli innamorati decidono quindi di fuggire dando il via, nell’estate del 1814, ad una serie infinita di peregrinazioni.
Giunti a Calais decidono di scrivere un diario di viaggio a quattro mani come testimonianza delle loro avventure, che saranno segnate da non pochi problemi, di denaro, soprattutto, e familiari. La loro prima figlia, infatti, muore pochi giorni dopo essere venuta alla luce e poco dopo la prima moglie di Shelley si suicida.
A settembre, rimasti senza soldi, sono costretti a tornare in Inghilterra. Si stabiliscono quindi a Londra dove vivono come reietti, rifiutati anche dal padre di Mary che non le rivolge più la parola. Nel giugno del 1816 partono nuovamente alla volta della Svizzera con il figlio William, per raggiungere Lord Byron, che nel frattempo è diventato l’amante di Claire Clermont, la sorellastra di Mary. Proprio durante questo soggiorno sul lago di Ginevra Mary dà alla luce la sua opera più famosa, Frankenstein.
A settembre sono di nuovo a Londra per sposarsi e regolarizzare finalmente la loro scandalosa posizione. Nasce anche un’altra bambina, Clara. E la coppia progetta un altro viaggio, che ha però come destinazione questa volta l’Italia. Il 12 Marzo 1818 sono nuovamente a Calais, da dove raggiungono Milano e poi Como.
Una nuova tragedia però è alle porte, nel giro di pochi mesi Clara si ammala e muore lungo il tragitto per Venezia, dove speravano di curarla e dove invece viene sepolta. Mary si rifugia a Este sui Colli Euganei, sperando di trovare, senza riuscirci, un po’ di sollievo dal dolore. Quindi sono di nuovo ospiti di Byron che tra l’estate e l’autunno del 1818 ha affittato in zona un antico convento cappuccino.
Proseguono il viaggio verso Napoli, la bellezza del Vesuvio e del paesaggio li cattura, il poeta è affascinato dagli scorci pittoreschi, la scrittrice invece è più interessata alle persone. Affittano una casa nel golfo di Chiaia e visitano Paestum, Pompei, Ercolano, Procida, Ischia, Sorrento, Salerno e Posillipo.
Dopo il soggiorno in Campania si spostano a Roma, città molto amata e fonte di ispirazione sia per Percy sia per Mary, attratta dalle sue cupole, le sue collezioni di pittura, i monumenti d’arte classica e barocca. La città eterna infatti tornerà protagonista più volte nelle sue opere, in Valperga (1826), ad esempio, la voce della protagonista Euthanasia, che passeggiando per la città resta incantata dalla sua visione, ricalca quella della scrittrice stessa. Nei suoi resoconti di viaggio, emerge tutta la sua genialità, la sua imprevedibilità e la sua indipendenza di giudizio, oltre alla capacità di immergersi completamente nell’ambiente circostante. Roma, con le sue maestose rovine, è una fonte inesauribile di ispirazione per Mary Shelley. Nel descrivere il Pantheon dice: “Non posso dimenticare la sera in cui visitai il Pantheon al chiaro di luna: i tenui raggi del pianeta si irradiavano dall’apertura su in alto e le colonne scintillavano tutto attorno: era come se lo spirito della bellezza fosse disceso nella mia anima mentre me ne stavo seduta in muta estasi.”
Ma nella capitale una nuova disgrazia li colpisce: nell’estate del 1919 muore anche William. Solo a Ottobre, con il trasferimento a Firenze e la nascita del figlio Percy Florence, Mary ritrova un po’ di serenità. Nel 1820 si trasferiscono a Pisa e, per trascorrere l’estate al mare, nel 1822 affittano con una coppia di amici, i Williams , una casetta a San Terenzo, un borgo di pescatori sul mar ligure. È proprio qui che Percy perderà la vita durante un naufragio e Mary è catapultata nuovamente nello sconforto.
Sola, vedova e con un bambino, nel 1823 rientra a Londra mantenendosi con i guadagni da scrittrice. Non rimetterà piede in Italia fino al 1840 quando deciderà di accompagnare il figlio Percy Florence in un Grand Tour che tocca Belgio, Germania, Svizzera e Italia, con Sorrento come ultima tappa. Durante questi viaggi con il figlio scrive un altro diario, Rambles in Germany and Italy, che copre gli anni dal 1840 al 1843.
Nei nuovi diari non racconta solo le bellezze artistiche e naturalistiche dell’Italia ma parla anche del suo popolo, della cultura e delle lotte risorgimentali, da tempo infatti si era appassionata alla situazione politica dell’Italia. Dal diario scritto insieme al marito aveva scelto di tenere fuori ogni emozione personale, ma ora, vent’anni dopo, si abbandona al ricordo affettuoso e non privo di malinconia dei luoghi dove è già stata, e dove è stata felice. Anche questo secondo diario di viaggio doveva essere scritto a quattro mani. Stavolta con Ferdinando Gatteschi, un esule italiano che frequenta il suo salotto e con il quale la donna aveva intrecciato una relazione. L’uomo però è interessato più ai soldi della scrittrice che a fornirle utili informazioni sulla situazione politica del suo paese. Alla fine il volume si presenta come un insieme di materiali saggistici tenuti insieme dal flusso narrativo del viaggio.
Al ritorno in Inghilterra smette sia di viaggiare che di scrivere e si dedica per il resto della vita alle opere del marito, morendo a Londra nel 1851.
Nonostante tutti i periodi che ha trascorso in Italia sono stati segnati da sofferenze e perdite, afferma più volte che “soffrire è diverso sotto questo cielo”. La nostalgia e l’amore per l’Italia l’accompagnano per tutta la vita, mentre si trova a Londra scrive: “Perché non sono in Italia? Il sole italiano, l’aria, i fiori, la terra, la speranza sono connessi all’amore, alla gioia, alla libertà, mentre in Inghilterra tutto assume il volto della più arcigna realtà.”